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un romanzo di Stefano Centonze – Ed. Albatros
È la storia di sempre. La storia di tutti. Sentire almeno una volta nella vita il bisogno di fare un passo indietro, di prendere il più lungo respiro, prima di trattenere il fiato e rimettersi in cammino, ad occhi chiusi e con la testa china, magari cambiando direzione o andando addirittura nel senso opposto, che poi, simbolicamente, è ritornare indietro a saldare un po’ di conti in sospeso. E danzare con quei fantasmi, di notte, e sperare che presto vadano via. E toccare il fondo per dare ancora senso alla rinascita.
Ti conosco ch’eri ciliegia è il romanzo che racconta i
due modi di stare al mondo: il primo,
producendo (grandi opere, opportunità, benessere, emotività), il secondo, sfruttando
i produttori, insinuandosi nei sensi di colpa dei primi verso la loro stessa
inadeguatezza ai costumi diffusi che, a sua volta, deriva proprio da questa
diversità.
I ruoli sono assegnati dalla storia e dalla natura degli
uomini.
Il protagonista, Marco Portulano, un salentino trasferitosi
a Milano negli anni ‘80, è un produttore, è il leone a rischio d’estinzione,
minacciato da orde di sfruttatori, da esseri fungibili che non si estingueranno
e non si batteranno mai per la sua salvezza. Ma vive intrappolato nelle liane, nelle sabbie
mobili, nelle ragnatele di un sentire che non riesce a liberare, che non riesce
a mettere al servizio del suo pensare, fino a cadere sotto i colpi di
un’involuzione indotta, in nome della quale finisce per dissiparsi. Per
adesione forzata agli stereotipi dei cattivi costumi, perché quello sembra
l’unico viatico di adattamento alla vita e perché indebolito dai troppi
parassiti che minacciano la sua sopravvivenza. Prima di trovare il coraggio di
risollevarsi e per tornare sui suoi stessi passi, dapprima convinto di dover
chiedere perdono per le sue azioni, ma, poi, comprendendo di doversi solo
riappropriare di se stesso. Perchè quello che era stato non poteva andare
diversamente.
Ti conosco ch’eri ciliegia è un viaggio alla ricerca delle
origini, della natura, di quel nocciolo, di quell’infinitamente piccolo che dà
vita a tutto. Perché il viaggio che porta lontano gli uomini di pensiero,
quando accendono quel sentire che per troppo tempo la vita ha tenuto sopito,
comincia al grido soffocato di “salvati: torna indietro!” Non c’è pensiero
senza quel “sentire” che porta a ricordare, rivivere, riflettere, anche se ciò
attiene ai mal di pancia che li tengono legati ad un passato che non va via.
Facile e immediato, dunque, dipanando la matassa dei
simboli, immedesimarsi con la morte e la rinascita metaforiche di Marco
Portulano.
“In questo romanzo il lettore resta sospeso, fino alla fine,
tra narrazione e scrittura. Si dice che, quando si narra, si narra sempre a
qualcuno, mentre, quando si scrive, si scrive sempre per stessi. Perché
scrivere un romanzo, al pari di altri linguaggi dell’espressione artistica, è
l’unico modo per raccontare qualcosa che viene da dentro e che le parole non
possono dire. E il momento in cui avviene questa condivisioni dei senititi
dello scrittore con chi lo leggerà è l’attimo esatto in cui gli stessi sono
pronti per essere comunicati. È come mettere al mondo un figlio. E non è un
caso che creatività e creazione abbiano la stessa radice. Il punto è se, nel
modo di regalare i suoi vissuti, vi siano energia e tecnica – tra simboli e
stile narrativo, capacità descrittiva, corretto uso della sintassi per dare le
giuste pause e la giusta scansione ai tempi della storia - da permettere al
lettore di sentire come propri quei vissuti, di immedesimarsi nel protagonista
e di leggere, nelle metafore della storia e delle pagine, quelle della propria
esistenza. La storia di Marco, in fondo, è comune a quella di molti uomini. Chi
di noi non si è mai voltato indietro per comprendere, partendo dagli errori, il
senso della propria esistenza?
Provare a spiegare è faticoso: bisogna sentire e vivere
davvero!”
Contatti per la presentazione del Romanzo :
Ufficio Stampa Stefano Centonze
ufficiostampa@circolovirtuoso.net
tel. 0832.601223 – 329.4226797
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